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LA TERRA TRA IL CIELO E L’ACQUA
9 aprile_15 maggio 2016
Grand Hotel de la Ville Largo Piero Calamandrei, 11 – Parma
Ristorante Croce di Malta B.go Palmia, 8 – Parma
inaugurazione mostra sabato 9 aprile 2016 dalle ore 17.00 alle ore 20.00 Grand Hotel de la Ville
LA TERRA TRA IL CIELO E L’ACQUA
La fotografia, fin dalla sua etimologia, viene individuata come una “scrittura con la luce” oltre che per la modalità tecnica di composizione anche per la capacità di catturare istantaneamente l’evolversi delle condizioni atmosferiche e delle energie umbratili della natura.
Questo progetto fotografico di Massimo Dall’Argine, intitolato “La terra tra il cielo e l’acqua” indaga il contesto naturale al di fuori di limiti e convenzioni propri della fotografia di paesaggio sottolineando il forte legame tra le istantanee dei luoghi e la dimensione personale ed esistenziale dell’autore.
Il punto di partenza sono le vedute delle terre del Po, fotografate nel tratto tra Polesine Parmense e Novellara, il cosiddetto “Mondo Piccolo” di Giovannino Guareschi, quella “fettaccia di terra che sta tra il Po e l’Appennino”.
Si tratta dei territori della bassa padana che sono stati fonte d’ispirazione per la produzione artistica e culturale di scrittori, poeti, e registi, come Cesare Zavattini, Attilio Bertolucci, Alberto Bevilaqua e anche per i pittori della corrente dell’Ultimo Naturalismo, accomunati, come ricordava Francesco Arcangeli, da un’arte che pone la natura al centro della visione, non come forma o idea, ma come intuizione emotiva ed esistenziale, una natura “che si guarda, si respira, si sente, si soffre, ancor prima che la si dica in parole”.
Massimo Dall’Argine ci riporta alla visione di questa terra di forti suggestioni e di visioni emotive con immagini che utilizzano la tecnica del mosso o dello sfocato, contribuendo ad accentuarne l’atmosfera enigmatica e misteriosa degli scatti. Lo sfocato produce un’assenza di definizione, i contorni tendono a sdoppiarsi o moltiplicarsi e le forme diventano masse informi di luce e di ombra. I tratti si confondono gli uni con gli altri e si disperdono, moltiplicando i livelli di lettura. L’adozione dello sfumato, che si iscriverebbe nell’ambito estetico del pittorialismo, determina per Dall’Argine la possibilità di una forte autonomia espressiva che si traduce in mutamento e ambivalenza visiva tra terra e cielo, acqua e terra, bianco/nero e colore, pieno e vuoto.
La perdita di precisi riferimenti spazio-temporali è compensata dall’intensità del colore e dalla grammatura delle trame geometriche delle linee, solo in apparenza fredde e asettiche.
Segni e tracce diventano paesaggi e forme, fessure astratte che si ricompongono sulla carta fotografica come spartiti musicali. Rarefatte, silenti e ordinate, le inquadrature si avvicendano secondo alti e bassi espressivi, che divengono prorompenti e penetranti come delle tessiture pittoriche, conservando l’approccio istintivo e materico di certe scansioni poetico-geometriche nella pittura di De Stael o di Morlotti.
La percezione dell’esistente, attuata da Dall’Argine con la fotografia, non si limita al vedere con gli occhi, ma ci impone di guardare con il cuore e la mente.
Chiara Canali